giovedì 23 luglio 2009

Un primo passo dopo le bugie

Dal Quotidiano La Repubblica
del 23 luglio 2009

di Giuseppe D'Avanzo
(Giornalista)



Come sa che non è il diavolo, Repubblica non ha mai pensato che Silvio Berlusconi fosse o dovesse essere "un santo". Sappiamo chi abbiamo di fronte: un leader politico eletto legittimamente e liberamente dagli italiani che ha oggi la responsabilità di guidare il Paese. Come lo fa? È di questo che parliamo. Di questo che si intende e si deve parlare: il Cavaliere come muove il suo potere, come interpreta le sue responsabilità? Danneggia il Paese o lo migliora? Ne deteriora o ne irrobustisce la democrazia?

Il profilo privato è stato ed è il jolly decisivo del successo politico di Berlusconi, mostrato e ossessivamente ostentato, consapevolmente esibito. Il Cavaliere lo autocelebra in ogni occasione chiassosamente come parte costitutiva della sua immagine pubblica, come garanzia del successo delle politiche del governo e del futuro radioso che attende ciascuno di noi. Chi ha reso del tutto indefinibile, nell'Italia ipocrita di ieri e di oggi, il confine tra la privacy e gli obblighi di status legati all'esercizio di funzioni pubbliche è soltanto Berlusconi.

Come Repubblica ha più volte ricordato, questa storia è nata perché Berlusconi ha voluto farla nascere. Come ha osservato anche chi guarda senza inimicizia all'avventura del premier, "le armi affilate" che hanno messo Berlusconi nei guai "provengono tutte da Berlusconi in persona". E' Berlusconi che umilia la moglie fino a superare ogni limite di tollerabilità. E' Berlusconi che frequenta e poi decide di festeggiare una minorenne costringendo Veronica Lario al divorzio. È Berlusconi che decide di lavare i panni di famiglia a Porta a porta, France2, in interviste ai giornali producendosi in un'autodifesa che, vagliata, si è dimostrata presto contraddittoria, incoerente, largamente bugiarda. E' Berlusconi che, per nascondere l'abituale licenziosità dei suoi comportamenti privati, ha organizzato una guerra mediatica e una scena di cartapesta con l'obiettivo di autorappresentarsi come un buon padre di famiglia, un figlio devoto nel ricordo dei genitori, un padre affettuoso, un nonno amorevole e commosso, un buon italiano che tira diritto e, come tutti i buoni italiani, crede in Dio e nella famiglia. Non un "santo", ma qualcosa che gli può stare vicino.

Chi lo sa, forse davvero all'alba di questa storia sarebbe stato sufficiente e liberatorio presentarsi in pubblico, come gli era stato consigliato, e dire: "Non sarei sincero se non aggiungessi le mie scuse per eccessi e disinvolture che hanno contribuito a rendere incresciosa questa situazione. Non me la caverò con la celebre battuta del presidente americano Grover Cleveland: 'Gli americani sanno di non aver eletto un eunuco'. Sono davvero rammaricato" (Giuliano Ferrara, il Foglio, 22 giugno).

Oggi è troppo tardi per fare il verso a Cleveland perché sono fiorite, dalla "licenziosità" della vita privata del capo del governo e dal rosario di inganni costruiti per oscurarla, due questioni politiche. Altro che gossip come si ripete nella corvée d'ossequio e anche in una smarrita opposizione senza bussola. Possono essere radicalmente separate in una liberaldemocrazia la politica e la morale? Il comportamento di un leader può essere sistematicamente immorale a petto di azioni di governo che pretendono di essere altamente morali e decidere della privacy di tutti: della vita, della morte, dell'aborto, del dolore, della cura, dell'embrione, dei comportamenti sessuali, fino a prevedere il carcere per chi sceglie una prostituta?

Nessuno ha obbligato Berlusconi a diventare un uomo di Stato. Lo ha fatto liberamente. Liberamente ha scelto di rendere conto all'opinione pubblica - come chiunque eserciti funzioni pubbliche - della coerenza tra valori proclamati e comportamenti tenuti. Si è rifiutato ostinatamente di farlo per mesi e tuttavia il lavoro giornalistico ha dimostrato, nel servile silenzio del servizio pubblico radiotelevisivo, che valori proclamati e condotte private girano per Berlusconi come ruote divaricate. Per eclissare questa realtà, il Cavaliere ha sollecitato una seconda, esplicita questione politica: qual è il grado di menzogna che è legittimo adoperare in politica? Una volta smascherata quella menzogna, e proprio per proteggere la fiducia che si è legittimamente conquistata nell'elettorato, il premier non deve rendere disponibile la verità in un pubblico dibattito?

Ora Berlusconi ammette che non è un "santo". Ammette quel che non può più negare, in verità, e tuttavia è un primo, non trascurabile passo. Non va sottovalutato. Il capo del governo conviene che i cittadini hanno diritto a conoscerlo al di là dei mimetismi da incantatore che si organizza. Potrebbe bastare se avessimo, in questi mesi, discusso soltanto di moralità privata. Berlusconi ha trasformato questa storia in una questione di etica politica e ora dovrà essere all'altezza degli interrogativi che egli stesso, con le sue menzogne, ha proposto al Paese. Coraggio, presidente, la strada è quella giusta ma lei è soltanto all'inizio.

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