lunedì 21 dicembre 2009

MILANO CALIBRO 9

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 20 dicembre 2009

di Davide Milosa
(Giornalista)


Un corpo carbonizzato e senza nome. Trovato a Pioltello, paese a nord di Milano. É il 27 giugno scorso. Nessuno ne parla. C’è un particolare: quell’uomo è stato ucciso il giorno della scomparsa, ovvero il 9 giugno, data del suo cinquantesimo compleanno. Strano, ma non troppo, visto che quel corpo è di Natale Rappocciolo, boss della ‘ndrangheta, residente a Segrate con interessi che arrivano fino a Porta Venezia. Il suo è un omicidio di mafia. Il penultimo di una macabra contabilità che in poco più di un anno ha insanguinato l’ex capitale morale d’Italia con cinque morti eccellenti. Una novità per Milano, abituata a spostare la presenza dei clan dentro invisibili operazioni di riciclaggio.

Questa, invece, è una storia di carne e sangue, di paura che diventa silenzio. Una storia nerissima che inizia il 28 marzo 2008 con quattro persone in fuga lungo i prati della Brianza. Hanno il terrore disegnato sul volto. Temono di essere ammazzate. Come è capitato poco prima a un loro familiare. Crivellato da 12 colpi davanti alla sua villa di Verano Brianza. Per Rocco Cristello, 47enne di Mileto non c’è scampo. Così muore uno dei più rispettati boss della ‘ndrangheta legato al clan Mancuso. É solo l’inizio. Il 14 luglio 2008 tocca a Carmelo Novella, reggente della cosca Gallace-Novella di Guardavalle ucciso a San Vittore Olona. Il 27 settembre il corpo di Cataldo Aloisio, nipote di Giuseppe Farao, padrino del clan Farao Marincola, viene trovato fuori dal cimitero di San Giorgio sul Legnano. Il 27 giugno i carabinieri scoprono il cadavere di Rappocciolo. Il 3 novembre davanti allo stadio di San Siro viene ucciso il faccendiere Giovanni Di Muro legato a clan calabresi e siciliani.

Ma se le pistole fanno rumore, le istituzioni rispondono con arrogante distrazione. “Sottovalutazione” e “convivenza”. Esattamente un anno dopo la morte di Cristello, Antonio Ingroia, procuratore di Palermo, descrive così il rapporto della politica lombarda con la mafia. Il governatore Roberto Formigoni giudica quelle parole “offensive e calunniose”. Rilancia il sindaco Moratti, che dopo mesi d’assenza, in quei giorni riappare in Consiglio comunale per tenere a battesimo il progetto Expo. “Ingroia faccia i nomi”. Letizia Moratti la mafia non la vede. I cittadini la vivono sulla propria pelle. L’omicidio Cristello, ad esempio. Per molti un fatto annunciato, dopo l’arresto, nel giugno 2006, di Salvatore Mancuso. Con il boss in carcere, lo scettro del comando viene conteso tra i rami nobili della cosca: da un lato Cristello dall’altro gliStagno-Sessa. Inizia una faida. E non nella infernale Scampia, ma nella rifinita Brianza. Anche qui la notizia passa sottotraccia. “Il 9 settembre 2007 – scrivono i carabinieri – una bottiglia di benzina con legate 4 cartucce calibro 12 viene lasciata davanti alla casa di un del clan Stagno-Sessa”. Mancano due mesi all’omicidio Cristello e fino a quel momento gli investigatori conteranno 10 episodi di questo tipo. Ci saranno autosaloni bruciati e vetrine di bar bucate dai proiettili. É il far west.

A Carmelo Novella, 58 anni, invece, i killer riservano quattro colpi di pistola, due in faccia. Ad oggi nulla si sa sul movente. Eppure Novella fino a quel momento è un padrino rispettato. La macabra partitura prevede poi gli omicidi di Cataldo Aloisio e Giovanni Di Muro. In mezzo quel corpo bruciacchiato abbandonato in via Piemonte a Pioltello. Sulla morte di Natale Rappocciolo indaga il pm della Dda milanese Celestina Gravina, il magistrato che nell’estate 2008 ha spezzato la carriera criminale di un boss come Giuseppe Onorato. Non un caso. La morte di Rappocciolo, infatti, potrebbe rientrare in quel milieu criminale che fa capo proprio a Onorato e ai “bravi ragazzi” del bar Ebony di via Porpora.Rappocciolo sarebbe stato ucciso perché ritenuto un infame. Questa la pista investigativa più accreditata.

Ecco i fatti: nel 2002 viene arrestato per 100 chili di cocaina. Il magistrato lo interroga. Lui conferma tutto. Dopodiché il pm lo sente su altri episodi. Rappocciolo ottiene la promessa che questa seconda inchiesta non andrà mai in porto. Capiterà il contrario. Nel 2006, il suo racconto porterà alla sbarra uomini della ‘ndrangheta milanese come Alfredo Scarfò, Vincenzo Novella (figlio di Carmelo), Marco Lavorata. Loro vanno in carcere, Rappocciolo anche, ma esce prima e torna a frequentare il bar Ebony. A quei tavolini, però, si accomodano boss come Pepè Onorato, Luigi Bonanno, Guglielmo Fidanzati. Ai loro occhi lui è già un infame. La goccia che fa traboccare il vaso arriverebbe a febbraio quando il pm lo ascolta per l’omicidio di un tabaccaio di piazzale Piola avvenuto 27 anni fa. Il killer ha confessato, perché il killer è Luigi Cicalese, pentito della ‘ndrangheta. Da Rappocciolo, il pm vuole sapere una cosa: la pistola per uccidere il tabaccaio a Cicalese l’avrebbe data Onorato che a sua volta l’avrebbe presa da Rappocciolo. Così dice il pentito. Rappocciolo però smentisce. “Mi pare di no”. Risposta certamente giunta alle orecchie di Onorato che forse teme una confessione tardiva. Natale Rappocciolo così verrebbe ucciso non per ciò che ha detto ma per quel che avrebbe potuto dire.

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