martedì 2 febbraio 2010

Abu Omar: Pollari sapeva

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 2 febbraio 2010

di Leo Sisti
(Giornalista)


Segreto di Stato o segreto di “status”, e quindi segreto che diventa “copertura immunitaria”? E ancora: “Per nessun motivo il segreto… può essere utilizzato per coprire responsabilità degli addetti ai servizi di sicurezza… L’esercizio del potere di secretazione in nome della ‘ragione di stato… non può dispiegarsi in modo assoluto, illogico ed arbitrario, facendo diventare il segreto di stato un comodo ombrello immunitario sotto cui raccogliere ogni comportamento deviante o deviato, se solo commesso all’interno di quel cerchio di appartenenza entro cui non diventa possibile penetrare con le normali modalità di indagine istruttoria”. Sono al vetriolo, pur nella compostezza della forma giuridica, le frasi con cui il giudice Oscar Magi chiude la sentenza che condanna alcuni agenti della Cia per il sequestro dell’imam egiziano Abu Omar, ma salva dal carcere l’ex direttore del Sismi Niccolò Pollari, protetto, appunto, dal segreto di Stato. Il sequestro, a Milano, nel 2003, c’è stato, eccome, si è trattato di un’azione criminale e odiosa. E bene hanno fatto, secondo Magi, i pm di Milano Armando Spataro e Ferdinando Pomarici a indagare su quel fatto, “non solo per encomiabile spirito di servizio, ma anche con estrema lealtà istituzionale”. Però, è una sorta di “non possumus”, quasi una manifestazione di impotenza a giudicare secondo tutti i criteri della legalità il giudizio che Magi emette alla fine delle 436 pagine che decretano 5 anni di reclusione per 21 spioni della Cia, un ufficiale americano, e 8 anni per il capo della Cia di Milano Robert Seldon Lady. Ma “premia” il generale Pollari, che ha pure partecipato a quel crimine: il rapimento di un fondamentali-sta islamico, poi trasferito dalla Cia nel suo paese, l’Egitto, e qui detenuto per due anni, con contorno di torture. Quella sentenza “premia” anche altri tre uomini Cia di grande spessore, come Jeff Castelli, il numero uno in Italia, nonché Ralph Russomando e Betnie Medero . Tutti acquattati dietro l’immunità diplomatica, in quanto addetti a vario titolo all’ambasciata americana a Roma.

Soffre, in senso giuridico ovviamente, il giudice Magi mentre descrive, riassumendolo , l’iter che ha portato un’inchiesta delicata e complessa, irta di difficoltà interpretative, alla sua conclusione dopo anni di dibattimento. Soffre perché la sua opera è stata frenata, bloccata. Soprattutto per il segreto di Stato apposto sulla vicenda Abu Omar da due presidenti del Consiglio, prima Silvio Berlusconi, nel 2005, segreto poi confermato da Romano Prodi l’anno successivo.

Ma la pietra tombale è stata messa dalla Corte Costituzionale con quella sentenza del 2009 che fissa i paletti su come maneggiare e interpretare atti e documenti che hanno contrappuntato nel tempo quell’indagine. Ad esempio, i giudici della Suprema Corte hanno scritto, nero su bianco, che “il segreto di stato funge da ‘sbarramento’ al potere giurisdizionale” . Peggio ancora, riconoscono fondata una censura, in tema di “rendition”, proposta due volte dal premier Berlusconi nel 2007, che ha così esteso l’area della copertura. E aggiungono, tra l’altro: “L’Autorità giudiziaria, difatti, seppure libera di indagare, accertare e giudicare il fatto di reato (il rapimento di Abu Omar, ndr), non essendo lo stesso coperto da segreto di Stato, si trovava…nell’impossibilità di avvalersi di quelle fonti di prova che, sebbene connesse al sequestro di persona, hanno tratto (cioè riguardano, ndr) ai ‘rapporti fra Servizi italiani e stranieri’; rapporti da intendersi, evidentemente, con riferimento non soltanto alle linee generali e strategiche di collaborazione tra i Servizi interessati, ma anche agli scambi di informazioni ed agli atti di reciproca assistenza posti in essere in relazione a singole e specifiche operazioni”.

Lavorare con un simile cappio sulla testa e dover per forza di cose usare il bisturi per tagliare qua e là nel grande calderone di decine di migliaia di pagine di carte giudiziarie è stata, per Oscar Magi, un’impresa titanica. Con annesso obbligo di muoversi con prudenza, considerando quei “limiti di utilizzo di evenienze probatorie non ricadenti nell’area del segreto” come “principio guida in senso processuale ed ermeneutico”. Insomma , il bilancino del farmacista nell’esaminare un caso che sarebbe finito con la galera per tutti, compresi i protagonisti eccellenti, se non avessero avuto un provvidenziale scudo.

Per questa ragione il giudice Magi butta spesso tra le righe concetti come “copertura immunitaria” nell’uso delle prove a sua disposizione.

O come “cesura”. Vuol dire stringersi le spalle e dichiarare, con una punta di rassegnazione: mi dispiace, ma oltre non posso andare.

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