mercoledì 3 febbraio 2010

IL MALE MINORE?

Dal Quotidiano Il Fatto Quotidiano
del 3 febbraio 2010

di Antonella Mascali e Sara Nicoli
(Giornaliste)


“Il male minore”. Solo un democristiano poteva spacciare per “senso dello Stato” un colpo così basso alla giustizia e al buonsenso. Ma proprio con queste due frasi ieri Pier Ferdinando Casini ha definito il legittimo impedimento, la leggina composta di soli tre articoli che consentirà al premier, ai ministri e alle più alte cariche dello Stato di non presenziare ai processi che li vedono coinvolti per 18 mesi. E’ una legge che serve solo a Berlusconi, a cui Casini ha garantito una sponda certa, anzi “un ponte tibetano”, come lui lo ha sempre chiamato, assumendosi la responsabilità di classificare il contenuto della legge come qualcosa da difendere “prima di tutto, senz’altro prima degli interessi personali”. Di lì, la “giustificazione politica” di un voto con la maggioranza che, altrimenti, giustificazione non avrebbe. E che appare ancora più ingiustificabile se considerato capace di “ rimuovere – sono sempre parole di Casini – il macigno che da 15 anni è l’alibi per non affrontare una vera riforma della giustizia”. Un’alchimia di parole che ha creato sgomento nell’Idv provocando la reazione, un po’ sopra le righe, di Francesco Barbato. Sull’onda di una rabbia fin troppo compressa, il parlamentare è sbottato bollando l’Udc come sigla per “Unione dei Casalesi”. “Mi pare davvero ipocrita l’atteggiamento dell’Udc che vuole giustificare” la legge “e pensa che si e’ cristiani solo andando a fare i ‘baciamani’ a papi e cardinali; mi sembrate il partito delle poltrone e delle polpette”. Fini ha stoppato il crescendo rossiniano di insulti, ma al di là del classico, pittoresco scontro verbale in aula, il dato politico della giornata di ieri resta lo stesso: l’Udc ha aiutato Berlusconi nella strada verso l’impunità, pur senza essere determinante. Il Cavaliere, ne siamo certi, saprà adeguatamente ricambiare, non appena se ne presenterà l’occasione.

Ma ieri alla Camera, dove l’iter della legge “ad premier” è andato avanti così spedito da consentire l’approvazione già oggi (alle 17, in diretta tv), si è anche marcata ulteriormente la distanza politica tra Pd e Udc. E malgrado il segretario Pd, Pier Luigi Bersani, con il consueto pragmatismo, abbia preferito non conferire al voto dei casiniani una valenza politica tale da ripercuotersi sulle alleanze già siglate in alcune regioni, la lacerazione c’è stata eccome. Lo ha spiegato, con la consueta chiarezza venata di salace ironia, il neo presidente Copasir, Massimo D’Alema: “Tra 18 mesi saremo di nuovo qui, visto che questa leggina non risolve nulla”. Quindi, rispondendo a Casini: “Se è un ponte, porta verso il nulla; tra 18 mesi Berlusconi sarà chiamato nuovamente in tribunale a rispondere di corruzione, a meno che noi qui non approveremo un’altra leggina o un altro imbroglio per aiutarlo’’. Ecco, appunto, un imbroglio. Che non cambia il senso politico della giornata, nè la realtà. E cioè che il legittimo impedimento è “un imbroglio, una sfida alla Corte costituzionale – è parola ancora di D’Alema – perché non c’è il minimo dubbio che stiamo riapprovando in un’altra forma, più furbesca, il lodo Alfano”. Oggi, dunque, il via libera definitivo, ma nel cuore della magistratura monta lo sdegno benché stavolta i magistrati debbano tenersi per sé quello che pensano perché è una legge che non tocca direttamente la funzionalità generale delle inchieste e dei processi. Molte toghe, fuori dalle dichiarazioni ufficiali, ragionano: perché la maggioranza trova sempre il tempo di far approvare leggi che servono al premier, ma non accoglie mai suggerimenti su riforme per la giustizia dei cittadini? Si danno anche la risposta: perché la giustizia efficiente non è un suo obiettivo. Anzi. L’indigestione da legittimo impedimento la esprime il presidente dell’Anm, Luca Palamara: “Non sta a noi giudicare il legittimo impedimento, è compito della politica, che deve assumersi le sue responsabilità e valutare, quando si fa una legge, se stia in una cornice costituzionale”. Nessuna dichiarazione ufficiale neppure dei consiglieri del Csm. Dietro l’ anonimato, però, alcuni si sono sbottonati. Due le correnti di pensiero, una, maggioritaria, che pensa sia il male minore se serve ad affossare il “disastroso” processo breve. L’altra è contraria perché ritiene che violi il principio dell’uguaglianza dei cittadini, sancito dall’articolo 3 della Costituzione. Ma la preoccupazione generale è sempre per il processo breve, tanto che ieri sera la sesta commissione del Csm ha deciso di voler redigere un nuovo parere perché quello negativo, “un’amnistia mascherata”, fornito a novembre, era sul vecchio testo. E quindi i vertici degli uffici giudiziari invieranno a Palazzo dei Marescialli nuovi dati basati sugli effetti che provocherebbe il processo breve allargato a tutti i reati, così come previsto dal testo approvato dal Senato.

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